sabato 27 giugno 2020

PROFILAZIONE ETNICA


Ci sono già normative sia Europee che italiane: Strumenti normativi contro l’’ethnic-profiling’/ITALIA

Art. 43 del T.U. immigrazione (D.lgs.vo n. 286/98) che impone un divieto generale di non-discriminazione, anche ai pubblici ufficiali, inclusi dunque gli agenti di polizia, come si evince in particolare dalla lettura del comma 2 : “In ogni caso compie un atto di discriminazione: a) il pubblico ufficiale o la persona incaricata di pubblico servizio o la persona esercente un servizio di pubblica necessità che nell’esercizio delle sue funzioni compia od ometta atti nei riguardi di un cittadino straniero che, soltanto a causa della sua condizione di straniero o di appartenente ad una determinata razza, religione, etnica o nazionalità, lo discriminino ingiustamente”


Ethnic profiling e Identificazioni e perquisizioni (stop and search)

IN ITALIA Art. 4 L. 22.05.1975, n. 152:

“In casi eccezionali di necessità ed urgenza, che non consentono il tempestivo provvedimento dell’autorità giudiziaria, gli ufficiali ed agenti della polizia giudiziaria e della forza pubblica possono procedere, oltre all’identificazione, all’immediata perquisizione sul posto, al solo fine di accertare l’eventuale possesso di armi, esplosivi, strumenti di effrazione, di persone il cui atteggiamento o la cui presenza, in relazione a specifiche e concrete circostanze di luogo e di tempo non appaiono giustificabili.


A Brescia è solo un altro venerdì come tanti per chi passa dalla stazione: treni e autobus da prendere, biglietti da comprare e tanta gente che viene e va. Nel piazzale della stazione, assistiamo a un enorme spiegamento di forze, con camionette e volanti della polizia, unità cinofile e un gran numero di agenti che danno manforte ai soldati, sia all’esterno che sui binari. Fermano le persone e chiedono i documenti, controllano i biglietti e perquisiscono zaini e borse...ma solo agli stranieri. Una scena agghiacciante, riportata e documentata da diverse persone che hanno assistito impotenti a questa operazione apertamente razializzante, subendo minacce e abusi quando hanno cercato di intervenire chiedendo perché gli agenti stessero effettuando questi controlli senza altro criterio se non quello del colore della pelle: donne e uomini, giovani e vecchi, di diverse nazionalita, insomma tutti tranne gli italiani. Con l’emergenza Coronavirus questo clima di repressione è stato normalizzato, come evidenzia il rapporto pubblicato da Emergency pochi giorni fa, in cui si dice chiaramente che “l’attuazione delle misure di contenimento per combattere la pandemia ha messo a nudo le disparità strutturali esistenti e la discriminazione in base a etnia, razza, migrazione e status socioeconomico. In alcuni casi, l’applicazione delle misure di blocco ha portato a un’ulteriore emarginazione, stigmatizzazione e violenza” e ancora “oltre ai crimini d’odio e alle discriminazioni da parte di attori non statali, esiste una preoccupazione significativa per le pratiche di polizia, che sollevano interrogativi sul razzismo istituzionalizzato in Europa. Questa pratica della polizia può influenzare la sua prestazione di servizi non solo attraverso le azioni deliberate da parte di un piccolo numero di individui bigotti, ma attraverso una tendenza più sistematica che potrebbe influenzare inconsciamente le prestazioni della polizia in generale”.

In particolare, in tutta Italia la “profilazione discriminatoria” o come viene chiamata a livello internazionale “ethnic profiling”, è una realtà che chiunque abbia la pelle di una sfumatura appena più scura di quella dell’italiano medio conosce molto bene; questa pratica viene definita dall’ ECRI (Commissione del Consiglio d’Europa contro il razzismo e la discriminazione) come “l’utilizzo da parte della polizia, senza giustificazione obiettiva e ragionevole, di aspetti quali la razza, il colore, la lingua, la religione, la nazionalità o l’origine nazionale o etnica, nelle attività di controllo, di sorveglianza e di investigazione”. Una pratica apertamente riconosciuta come negativa e formalmente scoraggiata che però continua ad essere diffusa e portata avanti con fervore dalle forze dell’ordine, causando danni ad entrambe le parti: e` infatti provato che l’ethnic profiling risulta controproducente nella lotta alla criminalità, in quanto i gruppi criminali tendono di conseguenza a reclutare soggetti che non corrispondano al “profilo”, inoltre richiede un impiego sproporzionato di risorse umane e finanziarie in quanto porta a controlli su un numero elevatissimo di persone, a discapito di mezzi di intervento più efficaci. In più si va a consolidare il processo di stigmatizzazione delle comunità etniche minoritarie con conseguente rafforzamento degli stereotipi e pregiudizi razziali nella società anche attraverso una distorsione delle statistiche ufficiali in materia di criminalità: maggiori controlli su determinati gruppi etnici conducono ad una loro sovrarappresentazione nelle statistiche relative alle persone indiziate di reato. Si viene così a creare un legittimo senso di frustrazione sociale degli appartenenti alle comunità minoritarie, che porta a una maggiore chiusura identitaria, rafforzamento degli estremismi religiosi e politici oppure maggiore spinta a microcriminalità di tipo antagonista/trasgressiva, in generale quindi una minore inclusione e coesione sociale. 

Insomma, oggi a Brescia abbiamo assistito a un vero e proprio “ethnic profiling show”, con tanto di agenti che alla richiesta di una ragazza di essere lasciata in pace perché italiana rispondono con leggerezza “eh, ma non si vede”, riconfermando come molto spesso sia ben radicata nella mentalità delle forze dell’ordine (e non solo) l’equazione italianità  = bianchezza, un preconcetto che in una società complessa e multiculturale come in cui viviamo non dovrebbe trovare spazio, specialmente all’interno delle istituzioni. Contrastare e contestare, in ogni occasione possibile, questo tipo di atteggiamenti discriminatori  è non solo un dovere ma un diritto di tutti noi, alzare la voce e puntare il dito contro gli abusi di potere e i pregiudizi nella vita quotidiana  è il primo passo verso una società migliore e più giusta.


Francesca F.




“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale sono uguali davanti alla legge, senza discriminazione di sesso, razza, lingua, religione, opinione politica, condizione personale o sociale” razza razza razza rimbomba nella mia testa non esiste la razza non esisto IO, sono solo un’occupazione di spazio attraversata da giudizi, pregiudizi, salvata dai deliri altrui da una parola sola, “italiana”, che nei loro occhi non combacia con la mia pelle. Potrei morire per la Patria e ancora non lo farebbe. Potrei recitare Dante a memoria eppure non lo farebbe. Potrei dissolvermi nell’idea che hanno di me, accettarla, ma comunque perderei. Me stessa. Forse anche io ho pregiudizi, forse anche io sbaglio, effettivamente l’italianità sembra essere esclusivamente bianca e l’essere stranieri una ragione implicita per il crimine. Forse hanno ragione.


Io, comunque, non esisto. Almeno finché non Resisto. 



Francesca Sanneh.


lunedì 22 giugno 2020

BLACK BALLOONS REPRISE - UNA PLAYLIST DI RESISTENZA



BLACK BALLOONS REPRISE - UNA PLAYLIST DI RESISTENZA DI ALESSANDRO MOR, con il contributo di Francesca Sanneh.


Narrazione eterogenea di Resistenza, Resilienza, Denuncia, esplose nell’attualità dalla brutalità donandoci bellezza, speranza per la negazione ferma all’annichilazione del nostro essere


https://open.spotify.com/playlist/1oepBsXKSt1zkjlQ44ZUzW?si=Y6QLTSmbSaWwQDpi-V2ufw




GIORNATA MONDIALE DEL RIFUGIATO


Il 20 Giugno si celebra la Giornata Internazionale del Rifugiato, istituita dall’ONU per “onorare i rifugiati per la loro forza ed il loro coraggio”, prendendo come data di riferimento quella che nel 1951 diede luce alla Convenzione sullo Status dei Rifugiati.
I report dell’UNHCR per il 2019 rivelano dati estremamente preoccupanti: circa l’1% della popolazione mondiale è sfollato -più o meno la stessa percentuale di persone con i capelli rossi-, ovvero 79,5 Milioni di essere umani sono stati costretti a lasciare le proprie abitazioni. Di queste, 26 milioni sono rifugiati, tra cui 5,6 milioni sono Palestinesi, questa cifra è destinata ad aumentare alla luce dell’annunciata annessione criminale di ulteriori terre da parte di Israele. Le nuove richieste di asilo sono state 2 milioni lo scorso anno. 4.2 milioni sono gli apolidi, ovvero privi di qualsiasi cittadinanza. Gli Stati che ospitano più rifugiati sono la Turchia (3.6 M), la Colombia (1.8 M), il Pakistan (1.4 M), l’Uganda (1.4 M) e la Germania (1.1 M). Quelli i cui cittadini, invece, cercano più rifugio all’estero sono: la Siria (6.6 M), il Venezuela (3.7), l’Afghanistan (2.7 M), Sud Sudan (2.2 M) e Myanmar (1.1), numeri che, sommati, corrispondono al 68% di tutti i rifugiati al mondo. Confrontando i Paesi ospitanti con quelli da cui si scappa, la relazione è ovvia, anche e soprattutto a livello geografico, infatti circa il 78% degli sfollati cercano rifugio in Paesi limitrofi e l’80% risiedono in territori ad alto rischio di insicurezza alimentare e malnutrizione, l’85% trova ospitalità nei cosiddetti “Paesi in via di sviluppo”, ma l’espressione “Paesi non occidentali” appare decisamente più imparziale e corretta, partendo da una prospettiva di rifiuto di un concetto univoco ed egemonico di “sviluppo”.
La distribuzione dei rifugiati è, evidentemente, impari e non uniforme, ma nella forma contraria rispetto a quella di chi grida all’”invasione” e per questo dispone leggi che, oltre ad essere inosservanti dei Trattati Internazionali sui Diritti Umani e le Migrazioni, sono contrarie allo spirito di umanità stesso; come i Decreti Sicurezzi o il famigerato “Muslim Ban” con cui Trump ha vietato l’emanazione di visti per qualsivoglia motivo per cittadini di Paesi prevalentemente musulmani, tra cui la Siria, che dal 2011 sta notoriamente vivendo un’infernale proxy war civile nei confronti della quale gli Stati Uniti hanno più che qualche responsabilità isolata. Responsabilità ancora più impossibili da ignorare sono quelle degli USA nei confronti degli sfollati dell’America Centrale e Latina, creati da anni di eliminazione violenta di governi eletti democraticamente attraverso colpi di Stato, ideazione ad hoc di regimi di destra dittatoriali burattini per gli interessi economici statunitensi e cosidette “Repubbliche delle Banane”, per non parlare del traffico di droga che dilania Paesi interi che servono, prevalentemente, la domanda US. Questi fatti storici sono ignorati, o peggio, interpretati nel quadro di naturale supremazia Occidentale in quanto forza democratizzatrice e civilizzatrice, per cui l’imperialismo non è altro che il compimento di una missione divina quanto terrena e ciò ha permesso il respingimento di milioni di rifugiati, richiedenti asilo e migranti che, dopo aver camminato, spesso da minorenni o donne sole con figli, attraversando interi Paesi, si sono visti separati dalle loro famiglie, rinchiusi in gabbie o morti.
Anche nella civilissima Europa abbiamo lampanti casi di orrore legalizzato che attualizza le nostre responsabilità storiche, un esempio su tutti, il campo di Moria, sull’isola di Lesbos, in Grecia, costruito per 3100 persone e che ora ne ospita più di 20000. I frequenti eventi di violenza, le pessime condizioni igieniche, la mancanza d’acqua, il freddo, la meningite, il 40% di bambini, la cosiddetta “Febbre di Moria” e i parti sono ancora più difficili da gestire su un’isola che ha due sole ambulanze e un campo che per metà giornata ha solo una tenda di Boat Refugee Foundation per due decine di migliaia di persone, che vi possono accedere solo con l’Ausweis, ovvero i documenti rilasciati dalla polizia.
Nessun supporto c’è, invece, per la salute mentale, riconosciuta come un diritto inviolabile dalla stessa ONU e che, ovviamente, è estremamente precaria per persone che sono sopravvissute a guerre, fame, torture, viaggi in condizioni disumane e ogni tipo di violenza fisica quanto psicologica, con attanagliante ansia, purtroppo giustificata, circa il proprio futuro, oltre al ricordo indelebile di tutti coloro che non sono sopravvissuti. 


Oggi, dinanzi ad una pandemia che rivela ed esacerba le ineguaglianze cancro della società, la situazione è particolarmente disperata nei già precari e pericolosi campi profughi del mondo, ma ciò non è servito ad umanizzare i governi come quello Greco che continuano, anzi, aumentano, le pratiche illegali di respingimento dei migranti, adottando metodi violenti, o quello Turco, che utilizza i migranti come pedine per estorcere l’appoggio europeo per la sua guerra o quello Europeo, che continua nelle sue pratiche vergognose che concepiscono esseri umani come personificazioni di problemi e disagio, ignorando le indicazioni anche istituzionali come quelle del Commissario dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, l’italiano Filippo Grandi che ha ribadito che l’unica modalità di azione nel rispetto dei trattati e dei diritti umani è quella della ripartizione egualitaria ma proporzionale dei rifugiati nei territori europei.
Oggi più che mai ricordiamo che NESSUNO E’ ILLEGALE.

DECRETI SICUREZZA

  Il nuovo decreto in materia di immigrazione Arriva l’ennesima modifica delle norme in materia di immigrazione. Il Consiglio dei Ministri i...