Agosto Nero
Senza
alcun dubbio, quest’ultimo concetto lascia la logica ed il buon senso privi di
una ragione. Benché non sia auspicabile, è certamente comprensibile che gli
oppressi possano in qualche modo esprimere il loro rancore nei confronti degli
oppressori, ma il contrario, per essere compreso, merita obbligatoriamente il
più nobile dei simposi psicoanalitici!
Qual è la
colpa degli oppressi, dei perseguitati e degli abusati?
Nel giro
di tre settimane, in questo agosto nero, la burocrazia olandese ha assassinato
il quattordicenne Alì Ghezawi, la polizia Vicentina ha afferrato per il collo
il ventunenne Denis Romero, quella statunitense ha sparato 7 colpi nella
schiena di Jacob Blake, il Governatore della Sicilia ha decretato con
un’ordinanza lo svuotamento e la chiusura immediata dei centri di accoglienza
per migranti dell’intera Isola e Fatu Fall, commessa a Pistoia, si è sentita
dire: “Non voglio essere servita da una nera”…
Le
ipotesi sono almeno due; il Covid fa più danni al sistema nervoso che a quello
respiratorio oppure, molto più probabilmente, la politica del terrore è
un’agente lievitante dei rigurgiti nazionali, xenofobi e colonialisti.
In ogni
caso, mi pare sempre più evidente che vi sia un’estrema ed urgente necessità di
rivisitare la sanguinosa e centenaria storia del colonialismo. Di cui la scuola
di ogni ordine e grado, ormai prossima alla riapertura, deve assolutamente
iniziare ad occuparsi in maniera seria e strutturata. Non solo con l’ausilio
dei testi storici, ma anche con una
tranquilla e comoda esplorazione di alcune opere letterarie, cinematografiche e
teatrali relativamente recenti. Potrebbe essere sufficiente trascorrere una
mezza giornata a contatto con queste storie per capire le ferite, i crimini, le
devastazioni e la profonda ingiustizia perpetrata nei secoli dalla storia
coloniale.
Umberto
Galeano, in «Le vene aperte dell’America latina», riferendosi allo
sterminio di Maya, Inca ed Aztechi, ci parla di «un’opera» dei conquistatori
capace di sterminare circa 90.000.000 di persone. Ai tanti che potrebbero,
crudelmente, obiettare sostenendo che questa è «roba vecchia», potrei suggerire
di guardarsi Blood Diamond, un film che ci presenta il volto sfigurato
di quell'Africa ricca di materie prime sfruttate da potenze economiche
straniere, per il tramite delle modernissime multinazionali. Parla di diamanti
che grondano del sangue di centinaia di migliaia di vittime e delle vite
devastate dei bambini-soldato. Parla della relazione tra il commercio dei
diamanti e quello delle armi, utili per istigare guerre e favorire le industrie
belliche che, a loro volta, concorrono nella sottomissione di nazioni allo
scopo di sfruttarne le materie prime. Una storia maledettamente contemporanea,
come lo sono quelle di Iraq e Afghanistan, che conferma quanto quell’attuale
sia la più florida forma di neocolonialismo vivente.
Tutto
questo ci rende, in qualità di eredi attivi e promoter attuali dello
sfruttamento della povertà, colpevoli di reato contro quell’umanità di cui
pretendiamo di limitare il movimento, il diritto nella ricerca della felicità,
la liceità di inseguire uno straccio di vita dignitosa. La «moderna»
legislatura quando definisce un uomo colpevole del reato di clandestinità si
macchia essa stessa del medesimo crimine giacché lo alimenta, inducendo una
fetta di umanità a vivere nascondendosi. Se poi volessimo sostenere che oltre
alla clandestinità, questi «delinquenti» si macchiano anche del reato di
contraffazione, ancora una volta a scagionare i presunti predatori (che si
confermano nelle vesti di predati) ci pensa Roberto Saviano con il suo “Gomorra”,
nel qual è resa esplicita la connivenza tra le grandi griffe, i loro manager e
le mafie locali, che a loro volta assoldano i soliti disperati che dovranno
servire poi da bersagli mobili.
È noto a
tutti che l’Italia storicamente, con modalità dirette ed in dirette, in epoche
remote e recenti, si è macchiata del crimine coloniale. Le alleanze dello
stivale col resto del mondo, in ogni epoca, rendono il nostro paese un corpo
intriso del sangue e del dolore altrui. La povertà altrui ha concorso nell’edificazione
del nostro impero economico.
È questo che rende sostanzialmente ciascuno di noi reo, inconsapevole nella migliore delle ipotesi e non confesso nella peggiore. Del resto, molte delle realtà che siamo ancora disposti a considerare espressione di democrazia, libertà, innovazione tecnologica ed emancipazione sociale, devono la loro «fortuna» alla deportazione, allo schiavismo, all’occupazione del suolo altrui, allo sfruttamento minerario e petrolifero, all’invasione, al saccheggio ed alla sopraffazione sistematica di intere popolazioni.
Federico Clapis, "Welcome (?)"
In queste situazioni purtroppo la “legge” giunge a
suggello del maltolto, come strumento per preservare i predatori ed il loro
bottino da un possibile riscatto dei predati, di generazione in generazione. Si
parte, come ben rappresentato nel film Amistad di Spielberg, dalle reti
dei mercanti di schiavi che inseguono lungo le coste africane uomini e donne da
sottomettere, sino a giungere ai giorni nostri in cui, sulle spiagge italiane,
le “forze dell’ordine” inseguono i venditori ambulanti per impedirgli di
raccogliere le briciole che sfuggono alle nostre fameliche fauci.
Razieh Gholami, rifugiato afghano, "Hoping to Survive".
De Mattia Mariano
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