Il nuovo decreto in materia di immigrazione
Arriva l’ennesima modifica delle norme in materia di immigrazione.
Il Consiglio dei Ministri il 5 ottobre ha approvato il decreto legge di modifica dei c.d. “decreti Salvini”, intervenuti fra il 2018 e il 2019. Un intervento atteso da mesi che neutralizza alcune delle disposizioni più aberranti dei precedenti decreti senza però modificarne l’impostazione di base.
Innanzitutto è stata reintrodotta una forma di protezione della durata di due anni concessa a favore delle persone straniere per seri motivi di carattere umanitario “risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello stato italiano”, che rientrerà fra le ipotesi di permesso per c.d. “protezione speciale”. È di fatto una forma molto simile alla vecchia protezione umanitaria prevista dal Testo Unico sull’immigrazione del 1998, abolita dai decreti Salvini poiché riconosciuta, a detti di alcuni, con eccessiva facilità. In realtà però, come era prevedibile, invece che diminuire gli sbarchi, l’abolizione aveva solamente aumentato il numero degli stranieri irregolari.
Disposizioni di maggior favore sono state inserite anche relativamente alle ipotesi di divieto di espulsione e respingimento, previsto non solo nel caso in cui la persona straniera rischi di essere sottoposta tortura o a trattamenti inumani e degradanti nel proprio Paese di provenienza ma anche qualora ciò possa comportare una violazione del diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, come prevede anche l’art. 8 CEDU. Inoltre altro aspetto degno di nota e di rilevante ricaduta sociale è la possibilità di convertire in permesso di soggiorno per motivi di lavoro numerose categorie di permessi quali, ad esempio, per protezione speciale, per calamità, per acquisto della cittadinanza o stato di apolidia, per assistenza minore. I titolari di tali permessi avranno così finalmente la possibilità di stabilizzare la propria presenza sul territorio italiano, anche se non sussistono più le condizioni che inizialmente l’hanno legittimata.
Risulta inoltre eliminato il divieto di registrazione alle anagrafi comunali dei richiedenti asilo, già dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Consulta a luglio di quest’anno, dopo numerose pronunce dei giudici di merito in tutta Italia. Tale divieto comportava infatti l’impossibilità di ottenere una carta di identità e dunque l’effettivo accesso a servizi pubblici e privati.
Per quanto riguarda più in generale il sistema dell’accoglienza, questo cambia ancora nome e diventa Sistema di accoglienza e integrazione, tornando al modello diffuso gestito dai comuni come sistema prioritario a cui accedono anche i richiedenti asilo e non solamente le persone più vulnerabili, minori e titolari di protezione internazionale. Si articolerà in due livelli: il primo, gestito dai prefetti, sarà volto alla prima assistenza, il secondo invece a favorire l’inclusione attraverso percorsi di orientamento al lavoro e alla formazione professionale.
Al di là di questi e altri apprezzabili interventi, permangono però delle zone di ombra che il decreto avrebbe dovuto finalmente illuminare. In particolare il sistema dei CPR che, nonostante le numerose denunce circa le violazioni di diritti umani commesse al loro interno e i dubbi profili di legittimità riguardo ad una simile forma di privazione di libertà, non è stato minimamente ripensato. Il decreto si limita semplicemente a ridurre il termine massimo di permanenza da 180 a 90 giorni, oltretutto con una possibile proroga di ulteriori trenta giorni per coloro che provengono da paesi con cui l’Italia ha accordi di rimpatrio.
Così come sono ridotti i tempi di attesa massima per la richiesta di cittadinanza presentati da una persona straniera naturalizzata da 4 (decreto Salvini) a 3 anni. Peccato che, prima del decreto Salvini, gli anni erano due e quindi, anche in questo caso, non siamo di fronte ad una grande conquista.
Rispetto al soccorso in mare, se operato in violazione del divieto o delle procedure di comunicazione previste, è prevista la reclusione fino a due anni e una multa fino a 50.000. Sono quindi state eliminate le sanzioni amministrative previste dal decreto Salvini che arrivano fino all’importo massimo di un milione di euro, ma per il resto rimane di fatto l’impostazione punitiva nei confronti delle navi umanitarie, solo meno spigolosa rispetto alla precedente.
Leggendo il decreto si ha dunque l’impressione che sia stato modificato lo stretto indispensabile, recependo le osservazioni del Presidente della Repubblica e tenendo conto delle pronunce della Corte costituzionale e della giurisprudenza di merito, ma non molto di più. La speranza era di una svolta radicale, ma l’immigrazione rimane un tema fortemente divisivo sul piano politico, e quindi, ancora una volta, viene affrontata come se ci trovassimo di fronte ad una situazione emergenziale, destinata ad esaurirsi, che ha ricadute unicamente sul piano della sicurezza nazionale. Si tratta invece, come ormai dovrebbe essere sotto gli occhi di tutti, di un fenomeno strutturale che necessita di una diversa narrazione e di un nuovo approccio legislativo, in grado di fornire risposte a lungo termine.
Spetta ora al Parlamento convertire in legge il decreto, con la possibilità di apportare ulteriori modifiche.
Avv. Silvia Mordenti